lunedì 15 febbraio 2010

Le pitture dei Filostrati

Mi è capitato tra le mani un libro edito nel 1828 con questo titolo “Le pitture dei Filostrati”

Una rapida ricerca nel mio database neuronico da un risultato insoddisfacente, i Filostrati erano sofisti e l’unica cosa che riuscivo ad associare, sul momento, era la biografia di Apollonio e una datazione indicativa II° III° secolo d.c., ma che avessero dipinto quadri non mi risultava.

Decido di leggere il libro e qui la prima sorpresa: il libro, pur mostrando i segni del tempo, è intonso, non essendo stato rifilato in tipografia, per poterlo leggere le pagine vanno tagliate. Un libro che ha quasi 200 anni e che non è mai stato letto!

Con un po’ di timore di fare danni prendo un tagliacarte e comincio ad aprire le pagine, dopo aver letto una lunga prefazione del curatore della traduzione dal greco, Filippo Mercuri, mi sono reso conto che il titolo del libro, non corrispondeva all’originale greco che è Eikones ossia Immagini.

Tralascio la discussione su quanti fossero i Filostrati, se 3 o 4, e se le Eikones siano state scritte da uno solo di loro o da due, poche righe anche sull’argomento su dove queste tavole fossero situate e se fossero esistite realmente.

Eikones è un’opera famosa nella quale si descrivono alcune pitture, su tavola, descrizioni talmente accurate da poterle chiamare “pitture scritte”.

Nel proemio dell’opera, si può leggere che Filostrato si trovava a Napoli, ospite in una villa nel cui porticato erano state incastonate delle pitture su tavola.

Il padrone di casa” … abitava fuori le mura in un sobborgo, che guarda il mare, nel quale era un tal portico rivolto al vento zeffiro costruito, se ben mi ricordo,sopra quattro o cinque solai che accennava al mare tirreno:il quale era vagamente adorno di quelle pietre,che più il lusso commenda, e più di pitture, sendo in quelle incastrate alcune tavole, le quali ha mio credere non senza sollecitudine erano state raccolte; perocchè in esse si ravvisava l’arte cospicua di moltissimi dipintori : ed avendo io di per me stesso già fermo nell’animo di commendare queste pitture con la favella, a ciò viemmaggiormente ancora fui stimolato dal piccolo figlio del mio ospite; che toccava allora il decimo anno bramoso di ascoltare …”

La querelle tra gli studiosi, parte da queste righe: dobbiamo credere alle parole di Filostrato oppure è tutta una finzione letteraria? Questa casa a Napoli con le sue pitture incastonate nel portico è esistita realmente oppure è opera della fantasia dello scrittore? La descrizione delle pitture è fatta su quadri autentici o sono il prodotto dell’immaginazione di Filostrato? I pareri sono molto discordi.

Il Prof. Stefano De Caro, soprintendente archeologico delle Province di Napoli e Caserta in una conferenza del 1999 sulle nature morte parla di Filostrato è da per scontato che il sofista abbia visto veramente la galleria di quadri che descrive nelle Eikones:”…La conferma che gli antichi usassero effettivamente questo nome [xenia] per la pittura di natura morta ci viene da un passo del retore greco di Lemno, Flavio Filostrato il Vecchio, della fine del II secolo d.C., il quale, descrivendo una galleria di quadri che lui ha ammirato a Napoli e che commenta per un gruppo di suoi giovani condiscepoli, definisce chiaramente come “xenia” due composizioni perdute, la cui descrizione corrisponde esattamente al genere che le pitture pompeiane raffigurano. Una di esse raffigurava, infatti, fichi, noci, pere, ciliegie, uva con miele, formaggi, e del latte con i vasi. L’altro genere rappresentava una lepre viva e una lepre morta, un’anatra spiumata, diversi tipi di pane, frutta fresca, castagne e fichi. La testimonianza di Filostrato è preziosa anche perché ci presenta il punto di vista critico di un intellettuale evidentemente informato di cose d’arte, e pure se cade circa un secolo dopo le pitture di Pompei, il suo giudizio potrebbe tranquillamente applicarsi ad esse, perché, come vedremo, questo genere aveva avuto poche trasformazioni dall’età ellenistica in poi. Quando Filostrato insiste, infatti, sulle qualità realistiche dei dipinti e sulla capacità della pittura di fermare sulla tela la bellezza fuggente del reale confondendo l’arte, la realtà e la sua rappresentazione, la sua valutazione non è, difatti, distinguibile da quelle delle fonti ellenistiche. Il suo passo è: “Perché non prendi questi frutti che sembrano fuoriuscire dai due cesti? Non sai che se aspetti anche soltanto un poco non li troverai più come sono ora, con la loro trina di rugiada?”.

La dott.ressa Letizia Abbondanza della sovrintendenza di Roma nel suo libro”Immagini” (2009) è di parere contrario, infatti scrive “galleria immaginaria”.

“Dei tre o forse quattro Filostrati che vengono ricordati dalla tradizione antica, si attribuisce al Secondo e Maggiore – vissuto nel finale del II e durante la prima metà del III secolo d.C. –, un testo giustamente famoso, capitale nella storia della letteratura artistica: le Eikones, Icone cioè Immagini, che descrivono una visita guidata, in forma di dialogo tra un sofista e i suoi giovani allievi, a una galleria immaginaria di oltre sessanta quadri, collocata a Napoli. È l’occasione di una strepitosa performance retorica, in cui la parola si propone a confronto vittorioso con l’immagine. L’opera ha sollecitato interesse di filologi ed emulazione di artisti e alimentato, in Goethe come in numerosi storici e amatori delle arti figurative, l’illusione di poterne in qualche misura risarcire la grande e purtroppo perduta pittura degli antichi. “

Facendo una considerazione generale si può dire che ogni opera, per quanto fantastica sia, ha sempre un incipit reale. A mio giudizio, Filostrato ha realmente osservato questi quadri e forse anche a Napoli, ma quasi certamente non erano tutti nei soliti locali e se diamo per vero che una parte delle Eikones sia stata scritta da un altro Filostrato questa tesi prende consistenza. D’altronde siamo nel neosofismo e quindi l’artificio è sempre latente, l’illusione dalla realtà e la realtà dalle illusioni.

Questi sono, certamente, interessanti risvolti, ma, a mio giudizio, è più importante vedere come le Eikones mettano in scena l’eterno confronto tra parola ed immagine, tanto che anche Goethe ne fu affascinato ed anche numerosi pittori tra cui Moritz von Schwind, le hanno reinterpretate.

Il filosofo Pierre Hadot nota l’importanza delle parole sophisma e apatê,usando la sua terminologia, che possono essere sintetizzate nel termine “artificio”. Prendendo come paradigma il Narciso (Eikon XXIII) si ha il “sophisma” della fonte e del quadro, ossia l’incapacità di distinguere tra realtà ed illusione.

Una descrizione della pittura di una pittura è l’incipit dell’”Immagine”: ” La fonte dipinge Narciso la pittura dipinge ad un tempo la fonte e Narciso”. Queste le parole del sofista e dalle quali possiamo dedurre che Filostrato “dipinge” l’immagine che la pittura dipinge dell’immagine di Narciso.

”L’apatê”, ossia l’inganno, perché Filostrato stesso davanti alle figure dei cacciatori crede di vedere non dei personaggi nella loro staticità del dipinto, ma esseri reali in movimento e, a questo proposito scrive Hadot:” Il discorso di Filostrato aggiunge all’illusione di vedere un quadro, l’illusione dell’eliminazione dell’illusione, l’impressione di partecipare ad un evento che si svolge effettivamente.”

Sophisma più apatê uguale artificio, un artificio eccezionale direi: l’impressione di partecipare ad un evento attraverso l’immagine scritta di un’immagine illusoria dipinta in quadro che forse non è mai esistito.

lunedì 8 febbraio 2010

“La pittura porta a Dio”

Ritratti d’autore di Mario Dal Bello
di Marialuisa Viglione

ROMA, lunedì, 8 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Mario Dal Bello, critico d’arte e di spettacolo, ha appena pubblicato un volume dal titolo Mario Dal Bello: Ritratti d‘autore. Figure della pittura europea da Duccio a RothkoMario Dal Bello: (Città nuova), che riunisce delle riflessioni sui più importanti pittori degli ultimi 800 anni.

ZENIT lo ha intervistato.

Cos’è l’ispirazione artistica?

Mario Dal Bello: Un dono di Dio.

Cos’è l’arte per lei?

Mario Dal Bello: Espressione della ricerca della bellezza che c’è in ogni uomo. Ricerca di eternità, immortalità. I più grandi capolavori parlano di Dio.

Come nasce questo libro?

Mario Dal Bello: Dall’amicizia di tutta una vita con questi artisti. Arrivo da Asolo in provincia di Treviso e da bambino conoscevo la pittura veneta, che mi ha fatto innamorare della bellezza: Tiziano, Giorgione, Bassano, Canova. Molti si convertono per un quadro. La pittura porta a Dio.

Il suo quadro preferito?

Mario Dal Bello: Uno dei quadri di El Greco a New York, la veduta di Toledo. Straordinario.

Come può parlare di Dio l’arte astratta? Dio è incarnazione.

Mario Dal Bello: L’arte bizantina è astratta, le figure sono immateriali.

Lei fa descrizioni appassionate di quadri importanti. Descrizioni che partono da un’emozione, dal cercare di capire perché quel quadro è passato alla storia. A cosa serve il suo libro?

Mario Dal Bello: Vogliono essere riflessioni che accompagnano gli appassionati a scoprire la bellezza. E la bellezza, essendo un trascendentale, una proprietà di Dio, aiuta a essere migliori.

Il primo pittore di cui lei parla è Duccio. Perché Duccio ha fatto così tanti quadri su Maria?

Mario Dal Bello: I pittori dipingevano su commissione. Siena era sotto la protezione di Maria. Quindi lui dipingeva per la devozione pubblica e privata. Le sue Madonne, rispetto a quelle dell’epoca, rivelano un senso di tenerezza, anche se i modelli sono bizantini. Lui ci aggiunge umanità e tenerezza nei rapporti col figlio, per questo piace molto.

E poi subito dopo c’è Giotto. Quali novità introduce?

Mario Dal Bello: Apre all’umanesimo. Dio è rappresentato secondo le raffigurazioni tradizionali, Onnipotente e Giudice. Nella controfacciata della Cappella degli Scrovegni, nel Giudizio Universale, Gesù giudice è forte e nello stesso tempo dolce. È il divino che si incarna. E come nel racconto di San Matteo alla sua destra ci sono i buoni, e alla sinistra i cattivi. Il Giudizio Universale è rappresentato sempre così nell’iconografia occidentale e nei mosaici.

Michelangelo mette in basso i cattivi e in alto i buoni?

Mario Dal Bello: Anche Michelangelo nella Cappella Sistina - Giudizio Universale - mette alla destra i buoni che salgono, e alla sinistra i cattivi che scendono.

Masaccio come si pone come artista?

Mario Dal Bello: Continua il lavoro di Giotto. Nell’opera di Masaccio protagonista è l’uomo, che ha una grande dignità perché è figlio di Dio. Nella Cappella Brancacci a Firenze, l’uomo è grande anche nella sventura. Adamo e Eva cacciati dal Paradiso hanno forme fisiche forti: rimangono figli di Dio, pur nella colpa.

Il fiammingo Jan Van Dick, come avvicina gli uomini a Dio?

Mario Dal Bello: E’ un fiammingo, siamo nell’Europa cristiana del 1400. Nel suo polittico dell’Agnello Mistico a San Bovone a Gang, fa un riassunto della Storia biblica. Avvicina gli uomini a Dio raccontando la Bibbia. Rappresenta una grande processione di Papi, santi Martiri, beati, vescovi, imperatori, mercanti, pezzenti, gente comune dell’epoca, tutti ad adorare l’Agnello mistico.

Piero della Francesca parla di Dio?

Mario Dal Bello: Contempla il divino. Nella Madonna con il Bambino e i Santi (a Brera), incompiuto, la Madonna è sotto una grande nicchia. Tutti sono assorti. E’ una scena molto intima, interiorizzata. E’ la contemplazione dell’eterno.

Le Madonne di Leonardo cosa hanno di nuovo?

Mario Dal Bello: La Vergine delle rocce, che è l’immacolata concezione, è la Vergine in ginocchio, dietro una nicchia, rappresentata dalla natura, il creato, opera di Dio. C’è la presenza di Dio nella natura. La Vergine ha un atteggiamento misterioso: fa parte del mistero dell’incarnazione.

Raffaello è il pittore delle Madonne per eccellenza?

Mario Dal Bello: Nella tradizione figurativa cattolica sì. E’ il pittore degli affetti. Non ritrae una persona reale. Reale è l’amore che Maria ha per suo figlio. L’affetto materno che si vede subito, è immediato e popolare.

Michelangelo e il suo tempo?

Mario Dal Bello: Si è formato in pieno Rinascimento. Ha un’immagine idealizzata dell’uomo. E riprende le statue greche nei suoi nudi. La perfezione esteriore raffigura la perfezione dell’anima. Questo secondo Platone, molto di moda all’epoca. Nella Cappella Sistina è il pittore dell’antico Testamento della Genesi. Dio è l’onnipotente. Le forme sono gigantesche, forti. Dio è più grande dell’uomo e lo schiaccia. Michelangelo finisce la vita disegnando Pietà e crocifissioni e muore facendosi leggere la Passione di Cristo.

La religiosità di El Greco?

Mario Dal Bello: E’ un pittore mistico. Siamo nella Spagna di fine '500 inizio '600, di Santa Teresa D’Avila e di San Giovanni della Croce. E quindi nei suoi quadri si nota questa tendenza al misticismo, all’esperienza soprannaturale. Allunga le figure, i colori sono irreali. Coglie ciò che c’è nell’anima.

Velasquez esprime la stessa religiosità?

Mario Dal Bello: Va meno in profondità. E’ un grande illustratore di scene sacre. A Roma abbiamo il suo ritratto di Papa Innocenzo X, alla Galleria Doria Pamphilj.

Rembrandt, protestante, è un grande pittore della Bibbia?

Mario Dal Bello: E’ insieme a El Greco e Michelangelo intimamente religioso. Protestante, nutrito della Bibbia, a contatto con il mondo ebraico (a Amsterdam viveva nel quartiere ebraico), ha dipinto soprattutto storie dell’Antico testamento.

Tiziano?

Mario Dal Bello: Eclettico, alla corte del re di Spagna, dipinge soprattutto alla fine della vita crocifissioni e incoronazioni di spine.

A rappresentare il mondo moderno ha scelto Picasso. Questo perché ha dipinto un Cristo?

Mario Dal Bello: No, si può dipingere arte sacra senza avere fede. Rappresenta bene il XX secolo, l’uomo spezzato, in un incubo, senza Dio, e quindi distrutto.

E Rochtko che fa pittura astratta?

Mario Dal Bello: Non è cattolico, ma ricerca un Dio, ricerca l’assoluto. Anche questa sua volontà di creare una cappella per mettere i quadri e tutte le espressioni di fede fa parte del suo bisogno di infinito. Ricerca il senso dell’esistenza, soprattutto dopo la morte. Vuole un rapporto con un essere superiore.

“La pittura porta a Dio”
Ritratti d’autore di Mario Dal Bello
di Marialuisa Viglione



ROMA, lunedì, 8 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Mario Dal Bello, critico d’arte e di spettacolo, ha appena pubblicato un volume dal titolo Mario Dal Bello: Ritratti d‘autore. Figure della pittura europea da Duccio a RothkoMario Dal Bello: (Città nuova), che riunisce delle riflessioni sui più importanti pittori degli ultimi 800 anni.

ZENIT lo ha intervistato.

Cos’è l’ispirazione artistica?

Mario Dal Bello: Un dono di Dio.

Cos’è l’arte per lei?

Mario Dal Bello: Espressione della ricerca della bellezza che c’è in ogni uomo. Ricerca di eternità, immortalità. I più grandi capolavori parlano di Dio.

Come nasce questo libro?

Mario Dal Bello: Dall’amicizia di tutta una vita con questi artisti. Arrivo da Asolo in provincia di Treviso e da bambino conoscevo la pittura veneta, che mi ha fatto innamorare della bellezza: Tiziano, Giorgione, Bassano, Canova. Molti si convertono per un quadro. La pittura porta a Dio.

Il suo quadro preferito?

Mario Dal Bello: Uno dei quadri di El Greco a New York, la veduta di Toledo. Straordinario.

Come può parlare di Dio l’arte astratta? Dio è incarnazione.

Mario Dal Bello: L’arte bizantina è astratta, le figure sono immateriali.

Lei fa descrizioni appassionate di quadri importanti. Descrizioni che partono da un’emozione, dal cercare di capire perché quel quadro è passato alla storia. A cosa serve il suo libro?

Mario Dal Bello: Vogliono essere riflessioni che accompagnano gli appassionati a scoprire la bellezza. E la bellezza, essendo un trascendentale, una proprietà di Dio, aiuta a essere migliori.

Il primo pittore di cui lei parla è Duccio. Perché Duccio ha fatto così tanti quadri su Maria?

Mario Dal Bello: I pittori dipingevano su commissione. Siena era sotto la protezione di Maria. Quindi lui dipingeva per la devozione pubblica e privata. Le sue Madonne, rispetto a quelle dell’epoca, rivelano un senso di tenerezza, anche se i modelli sono bizantini. Lui ci aggiunge umanità e tenerezza nei rapporti col figlio, per questo piace molto.

E poi subito dopo c’è Giotto. Quali novità introduce?

Mario Dal Bello: Apre all’umanesimo. Dio è rappresentato secondo le raffigurazioni tradizionali, Onnipotente e Giudice. Nella controfacciata della Cappella degli Scrovegni, nel Giudizio Universale, Gesù giudice è forte e nello stesso tempo dolce. È il divino che si incarna. E come nel racconto di San Matteo alla sua destra ci sono i buoni, e alla sinistra i cattivi. Il Giudizio Universale è rappresentato sempre così nell’iconografia occidentale e nei mosaici.

Michelangelo mette in basso i cattivi e in alto i buoni?

Mario Dal Bello: Anche Michelangelo nella Cappella Sistina - Giudizio Universale - mette alla destra i buoni che salgono, e alla sinistra i cattivi che scendono.

Masaccio come si pone come artista?

Mario Dal Bello: Continua il lavoro di Giotto. Nell’opera di Masaccio protagonista è l’uomo, che ha una grande dignità perché è figlio di Dio. Nella Cappella Brancacci a Firenze, l’uomo è grande anche nella sventura. Adamo e Eva cacciati dal Paradiso hanno forme fisiche forti: rimangono figli di Dio, pur nella colpa.

Il fiammingo Jan Van Dick, come avvicina gli uomini a Dio?

Mario Dal Bello: E’ un fiammingo, siamo nell’Europa cristiana del 1400. Nel suo polittico dell’Agnello Mistico a San Bovone a Gang, fa un riassunto della Storia biblica. Avvicina gli uomini a Dio raccontando la Bibbia. Rappresenta una grande processione di Papi, santi Martiri, beati, vescovi, imperatori, mercanti, pezzenti, gente comune dell’epoca, tutti ad adorare l’Agnello mistico.

Piero della Francesca parla di Dio?

Mario Dal Bello: Contempla il divino. Nella Madonna con il Bambino e i Santi (a Brera), incompiuto, la Madonna è sotto una grande nicchia. Tutti sono assorti. E’ una scena molto intima, interiorizzata. E’ la contemplazione dell’eterno.

Le Madonne di Leonardo cosa hanno di nuovo?

Mario Dal Bello: La Vergine delle rocce, che è l’immacolata concezione, è la Vergine in ginocchio, dietro una nicchia, rappresentata dalla natura, il creato, opera di Dio. C’è la presenza di Dio nella natura. La Vergine ha un atteggiamento misterioso: fa parte del mistero dell’incarnazione.

Raffaello è il pittore delle Madonne per eccellenza?

Mario Dal Bello: Nella tradizione figurativa cattolica sì. E’ il pittore degli affetti. Non ritrae una persona reale. Reale è l’amore che Maria ha per suo figlio. L’affetto materno che si vede subito, è immediato e popolare.

Michelangelo e il suo tempo?

Mario Dal Bello: Si è formato in pieno Rinascimento. Ha un’immagine idealizzata dell’uomo. E riprende le statue greche nei suoi nudi. La perfezione esteriore raffigura la perfezione dell’anima. Questo secondo Platone, molto di moda all’epoca. Nella Cappella Sistina è il pittore dell’antico Testamento della Genesi. Dio è l’onnipotente. Le forme sono gigantesche, forti. Dio è più grande dell’uomo e lo schiaccia. Michelangelo finisce la vita disegnando Pietà e crocifissioni e muore facendosi leggere la Passione di Cristo.

La religiosità di El Greco?

Mario Dal Bello: E’ un pittore mistico. Siamo nella Spagna di fine '500 inizio '600, di Santa Teresa D’Avila e di San Giovanni della Croce. E quindi nei suoi quadri si nota questa tendenza al misticismo, all’esperienza soprannaturale. Allunga le figure, i colori sono irreali. Coglie ciò che c’è nell’anima.

Velasquez esprime la stessa religiosità?

Mario Dal Bello: Va meno in profondità. E’ un grande illustratore di scene sacre. A Roma abbiamo il suo ritratto di Papa Innocenzo X, alla Galleria Doria Pamphilj.

Rembrandt, protestante, è un grande pittore della Bibbia?

Mario Dal Bello: E’ insieme a El Greco e Michelangelo intimamente religioso. Protestante, nutrito della Bibbia, a contatto con il mondo ebraico (a Amsterdam viveva nel quartiere ebraico), ha dipinto soprattutto storie dell’Antico testamento.

Tiziano?

Mario Dal Bello: Eclettico, alla corte del re di Spagna, dipinge soprattutto alla fine della vita crocifissioni e incoronazioni di spine.

A rappresentare il mondo moderno ha scelto Picasso. Questo perché ha dipinto un Cristo?

Mario Dal Bello: No, si può dipingere arte sacra senza avere fede. Rappresenta bene il XX secolo, l’uomo spezzato, in un incubo, senza Dio, e quindi distrutto.

E Rochtko che fa pittura astratta?

Mario Dal Bello: Non è cattolico, ma ricerca un Dio, ricerca l’assoluto. Anche questa sua volontà di creare una cappella per mettere i quadri e tutte le espressioni di fede fa parte del suo bisogno di infinito. Ricerca il senso dell’esistenza, soprattutto dopo la morte. Vuole un rapporto con un essere superiore.