domenica 13 giugno 2010

La prova ontologica d'Anselmo d'Aosta

“Questa cosa dunque esiste in modo così vero che non si può pensare che non esiste. Infatti si può pensare che esista qualcosa che non si può pensare non esistente; ma questo è maggiore di ciò che si può pensare non esistente. Perciò, se ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore può essere pensato non esistente, ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore non è ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore. Allora, ciò è contraddittorio. Perciò qualcosa di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore esiste in modo così vero che non si può pensare non esistente.” [Anselmo, Proslogion, cap.III, BUR, Milano, Rizzoli, 1992, pp. 86.]

La prova ontologica è una dimostrazione logica dell'esistenza dell'essere parmenideo, poi divenuta nella teologia medievale una forma di dimostrazione a priori dell'esistenza di Dio. La paternità di tale prova risale al Proslogion dell’ecclesiastico Anselmo d'Aosta (1033-1109), scritto attorno al 1077.
Anselmo argomenta che anche l’ateo che nega Dio nella sua mente formula l’idea della divinità intesa quale Essere Supremo e Perfetto. Egli parte da ciò che sviluppare una forma di dimostrazione negativa o per absurdum. Si ammetta per ipotesi che Dio, «ciò di cui non si può pensare il maggiore» esista nel solo intelletto, e non nella realtà. Tuttavia, ciò comporta una contraddizione, in quanto ciò di cui non è possibile concepire nulla di superiore non può esistere soltanto nell’intelletto. Infatti, l’esistere nella realtà è ancora superiore a quello della semplice esistenza mentale. Se quindi ciò di cui è impossibile concepire un ente superiore esiste soltanto nel pensiero umano, si dice che ciò di cui è impossibile concepire un ente superiore è ciò di cui in realtà è possibile concepire un ente superiore, il che comporta una contraddizione. Pertanto, ne consegue che l’essere di cui è impossibile concepire un ente superiore esiste assieme nella mente e nella realtà.
Dovendo dimostrare l'esistenza di Dio, ovvero l’Ente Primo e Perfetto, Anselmo ritiene di dover compiere una dimostrazione a priori e quindi non basata sui sensi e l’empiria, ritenuta l'unica in grado di dimostrare il fondamento ontologico di tutto l’esistente. La sua scelta di compiere la dimostrazione in forma negativa ovvero per absurdum gli permette inoltre di svilupparla evitando di porre precedenti assiomi o teoremi e basandosi unicamente sulla ragione e la logica, coi suoi principi fondamentali di non contraddizione e del terzo escluso.
Le premesse intellettuali della dimostrazione anselmiana sono quelle del neo-platonismo, con la sua nozione di intellectus/nous, che comporta come l’esistere nel pensiero sia già realmente esistere. Da ciò consegue che l’esistenza della nozione di Dio nel pensiero esiga logicamente che si afferma l’esistenza divina effettiva nella realtà. Il neo-platonismo ha sempre postulato l’esistenza nell’uomo di una precisa gerarchia delle facoltà, organizzate in modo scalare (Classica quella di voluntas/affectus, mens/ratio, intellectus/spiritus; volontà ed emotività; mente e ragione; spirito. Tale distinzione è paragonabile, mutatis mutandis, a quella fra inconscio, conscio e trans-conscio.), in cui la gnoseologia ricalca l’ontologia, anzi l’opposto, poiché nel neo-platonismo il conoscere è superiore all'essere. Lo spirito permette di cogliere con conoscenza diretta ed assoluta le verità trascendenti, poiché esiste in esse. I principi metafisici sono quindi dimostrabili e conoscibili logicamente allo stesso modo di quelli matematici e trovano ambedue perfetta manifestazione razionale. Il neo-platonismo quindi può giungere ad esprimere l’idea di una gnosi, intesa quale conoscenza diretta della verità trascendente, che di per sé esclude la fede, considerata quale una forma gnoseologica inferiore ed imperfetta in quanto costituita appunto dal credere senza averne conoscenza ed esperienza intellettuale.
La prova ontologica di Anselmo d’Aosta a distanza di mille anni continua ad essere dibattuta, trovando favorevoli ed oppositori. Già quando il grande pensatore era in vita egli ebbe un avversario nel monaco Gaunilone. In seguito, grandi autori come Bonaventura da Bagnoregio, Cartesio, Leibniz, Hegel hanno accettato e riformulata a proprio modo la dimostrazione anselmiana, mentre invece altri, come Tommaso d’Aquino, Locke e Kant l’hanno respinta, ognuno a proprio modo.
Fra i sostenitori dell’argomentazione anselmiana si ritrova anche il grande logico Kurt Gödel. Egli, che rivoluzionò la matematica con i suoi principi, era filosoficamente un neo-platonico, e matematicamente un platonista: riteneva che le verità matematiche fossero universali, eterne e trascendenti, scoperte ma non create dall’uomo. Gödel tentò anche una prova filosofica dell’esistenza di Dio. Egli concepì l’Essere come una proprietà necessaria e costitutiva in sé e per sé, da porre a fondamento del pensiero logico e dell'ordine matematico dell'universo. La sua ontologisches Beweis, ossia la dimostrazione dell'esistenza di Dio, è strutturata su di un rigoroso teorema logico-formale, secondo i principi della logica modale.
È degno di nota che tali elaborazioni intellettuali europee trovino forti somiglianze nell’interpretazione filosofica della matematica indiana, a cui si deve, fra l’altro, l’invenzione dello “zero”. Anch’essa postula la possibilità di provare le verità metafisiche in forma logico-formale.

mercoledì 9 giugno 2010

De Marchi, Pianelli e la loro città

link dell'originale
De Marchi Pianelli e la loro città

 

Quando parlo di Milano, in maniera entusiastica, come di una delle più belle città del mondo, c'è sempre qualcuno che alfine mi contraddice, dicendomi: "Ma da quanto tempo manchi da Milano? Io non la vedo poi così bella".
In effetti, quando penso a com'era corso Buenos Aires, negli anni '70, rispetto ad oggi, un pò di ragioni forse le hanno. Il Corso era chiamato la vetrina dei milanesi, quando ancora non era scoppiato il boom dei supermercati. A quell'epoca dominava ancora incontrastata La Rinascente, quotata da decenni, e per tanti anni successivi ancora, alla borsa valori di Milano: era uno dei titoli più solidi e più sicuri.
In quegli anni '70 percorrevo il corso in lungo e in largo, passando incantato da una vetrina all'altra in cerca di novità, che in periferia, e nei paesi limitrofi non erano ancora arrivate. Era anche il tempo in cui f
acevo parte della claque, e, spesse volte, o in  gruppo percorrevamo a piedi tutto il corso, passando dai portici di Porta Venezia, poi in corso Venezia, e quindi al Duomo, passando per San Babila: com'era bella Milano! Risale a quegli anni il mio grande innamoramento per la città. Poi, come mi dissero, la calata degli incivili aveva rovinato Corso Buenos Aires. Era diventato bivacco di ambulanti provenienti da ogni dove; l'avevano trasformata in emporio a cielo aperto, senza che le autorità fossero in grado o avessero il potere o la voglia di por fine allo stato di degrado. Di tale sorta di sfacelo me ne accorsi una domenica di fine anni '90, quando tentai, con la famiglia, di rifare quel fantastico percorso. Tentativo vano e andato a vuoto: marciapiedi occupati da lenzuolate distese, con esposte le loro mercanzie, per lo più i soliti occhiali, binocoli, cappellini, magliette. E i passanti, e i passeggiatori del Corso costretti a fare lo slalom tra quelle lenzuolate; e guai a chi le sfiorava, anche soltanto per una semplice distrazione con un piede; sarebbe equivalso ad un affronto da lavare col sangue delle parolacce, o anche peggio. Ma chi erano gl'invadenti? Noi che volevamo passeggiare come sempre fatto, o loro che avevano invaso i marciapiedi impedendoci di camminare? Da quel giorno non siamo più andati a passeggio per il Corso. Son passati almeno dodici anni da quell'episodio, e chissà se ora la situazione è migliorata?
Comunque sia, credo che Milano sia bella a prescindere da tutto questo, oltre che ad avere la pecca delle polveri sottili, che in taluni giorni ammorbano la città; e tutto questo, oggi più di ieri. Ma se poi la paragono a Londra, città che credevo più avanti di Milano in vari campi, o almeno per quanto riguarda la vivibilit
à, grazie al meticoloso e particolareggiato post di Nessie,Lost in London , scopro che invece è seconda a Milano in vari punti. Le esperienze di viaggio di Nessie, racchiuse in quel post, mi hanno fatto molto ricredere su quelli che credevo punti di forza di Londra rispetto a Milano; tanto da farmi ritenere che la città meneghina non abbia nulla da invidiare alle altre grandi metropoli del mondo.


Tutto il mondo è paese, e nessuna città può fare tanto meglio più di altre in tema di vivibilità, viabilità, mezzi collettivi di trasporto: è sempre quel resoconto di Nessie, che mi porta a tale considerazione. Anche in tema di ruota panoramica , la grande attrazione londinese, il divario sembra sia stato colmato, o lì per esserlo. E' anche a seguito di tali considerazioni che mi azzardo, con maggior vigore, col dire che Milano è una delle città più belle del mondo, a prescindere. Al prescindere da che cosa, potrebbe essere il tema di qualche altro post.
Emilio De Marchi, lo scrittore che ho riscoperto di recente, mi ha fatto crescere l'innamoramento per Milano. Nel suo romanzo più famoso, Demetrio Pianelli, fa una descrizione particolareggiata della sua Milano, citando col loro vero nome locali, luoghi, vie, piazze, chiese. Parla delle vie del centro e di periferia (quella che però oggi fa parte del centro città); indugia su chiese, campanili e i suoni delle loro campane, sui tetti di Milano; descrive i navigli, all'epoca ancora a cielo aperto; declama i gatti di Milano e il cane di Cesarino, passato poi al fratello Demetrio. Una delle zone nevralgiche di Milano, richiamata in più riprese nel romanzo, è il
Carrobio (scritto così, come ha fatto De Marchi nel romanzo).

Sono molti gli spunti di riflessione che si possono trarre dal romanzo. Si pensi soltanto al vecchio dazio, che De Marchi cita spesso nel romanzo e che sarà oggetto di un mio prossimo post. Meditavo su questi vari spunti, quando m'imbattei in un punto del romanzo che mi fece trasalire, facendomi abbandonare di botto ogni altra idea. Penso che Emilio De Marchi fosse andato anch'egli alla ricerca di una prova scientifica dell'esistenza di Dio. Trascrivo il brano, dal Demetrio Pianelli (parte quarta, Capitolo 2), che lo farebbe supporre. In tale brano par di intravvedere un suo nascosto desiderio di ricercare tale prova. L'approccio lo fa per mezzo di Marco, il celebre professor Fagiano di Sinigallia, il mago, come osava autodefinirsi lui, e assistente della medium Anita d'Arazzo, impareggiabile sonnambula. Rivolto a Paolino delle Cascine, andato là per un consulto, nel momento del commiato, nell'atto di presentare al cliente tutte le "attrezzature scientifiche" di cui il gabinetto della medium dispone, gli dice:
"La tavola psicografica segna col semplice contatto della mano in cinque minuti tutte le risposte che si desiderano. E' uno dei più forti argomenti per dimostrare l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima. Profondi filosofi, speculatori metafisici e benefattori dell'umanità hanno scoperto che la terra e il cielo sono popolati di spiriti buoni e di spiriti mali..., di spiriti superiori e di spiriti inferiori e quando un soggetto, previa una calda aspirazione al Creatore di tutte le cose visibili e invisibili, invita nel raccoglimento del suo pensiero con sommissione uno di questi spiriti o l'anima eterna di un caro estinto, sia ombra di grande illustre o vuoi poeta o condottiero di eserciti o anima di parente sepolto..."..."lo spirito tratto dalla simpatia e dalla coercizione non può a meno..."
e qui s'interrompe il dialogo, Marco saluta Paolino delle Cascine, dopo averlo accompagnato alla porta.
Di quanto poi avviene, mi attengo al silenzio, per non togliere il piacere delle tante sorprese a quanti vorranno leggere il romanzo.Dal brano si potrebbe ipotizzare che forse De Marchi, nel corso della sua vita, sia andato anche lui in cerca di una prova scientifica dell'esistenza di Dio. Un piccolo/piccolo tentativo è stato fatto da commentatori di questo e altri blog (
vedere questo esempio).De Marchi era nato a Milano, ma aveva fatto di Paderno Dugnano la sua città d'elezione. Vi si trasferiva sempre, negli ultimi due mesi delle vacanze estive, per il suo clima più mite rispetto a Milano. A Paderno Dugnano, nella parte est del suo bel quadrilatero, racchiuso tra via IV Novembre, via Roma, via Gramsci e proseguimento di via Grandi c'è la villa De Marchi - Tavecchio (vedi foto). Tutta la zona racchiusa nel quadrilatero ha avuto sviluppi e cambiamenti notevoli negli ultimi trent'anni. Via Gramsci, dove è situata la villa dello scrittore, è stata fino ad una trentina d'anni fa una strada intercomunale stretta e pericolosa; era parte di una carrozzabile, alternativa della più famosa Strada Comasina, che ha antiche origini Romane e preromane. La strada partiva idealmente dalla casa di Alessandro Manzoni a Brusuglio, per poi passare da Cusano (Milanino) e da lì, a Paderno, passava davanti la casa del De Marchi. Attraversate le quattro frazioni in linea di Paderno, Dugnano, Incirano, Palazzolo, si arrivava a Bovisio Masciago, dopo essere transitati da Varedo, nella cui frazione Valera, in località ancor oggi relativamente amena, Gaetana Agnesi da Milano vi si era trasferita oltre 100 anni prima, per attendere ai suoi studi di matematica e analisi in piena tranquillità.Il visibile sforzo compiuto dalla comunità padernese nel corso degli ultimi trent'anni, per migliorare l'aspetto cittadino, ha ricreato di sana pianta il centro città, salvando però da demolizione il bello dell'antico, tra cui la casa del De Marchi, come risulta dalle foto pubblicate. Quel centro storico ricreato, dalla maggior parte dei padernesi è indicato come il quadrilatero di Paderno Dugnano. Al lato opposto del quadrilatero, rispetto alla casa dello scrittore, vi è la stazione ferroviaria, e vi scorre una ferrovia, la quale sta assumendo via via sempre maggior importanza. La linea che vi transita è presa d'assalto nelle ore di punta o in occasione di grandi eventi milanesi. Essa va a confluire nel Passante Ferroviario, che in quaranta minuti porta i passeggeri a Rogoredo, al capo opposto di Milano. Là, in località Melegnano e Chiaravalle, Emilio De Marchi vi aveva creato ambientazioni per il suo Demetrio Pianelli.All'interno del quadrilatero di Paderno Dugnano scorre, a cielo aperto, il Seveso, fiume che ha avuto molta importanza nella storia di Milano; una storia che s'intreccia con quella dei navigli. Il corso cittadino del fiume è parecchio migliorato, rispetto a quegli anni '70-'80, anche se Legambiente ne denuncia il costante stato di degrado.
Nell'ultima foto vi è la tomba di Emilio De Marchi, che si trova nel cimitero di Paderno Dugnano, e non in quello di Maggianico di Lecco, come scritto
nell'enciclopedia on-line Wikipedia. A Maggianico di Lecco vi andava solamente talvolta in vacanza. A Paderno aveva casa, e, nei mesi di agosto e settembre di ogni anno, ultimi due mesi di vacanze estive, vi andava ad abitare.

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Foto: in alto, scorcio del Carrobio di Milano. Dal sito
Milano blogosfere
Le altre foto sono dell'autore.
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